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Studio Faggioni - Yacht Design
Lulworth

Un'esperienza assoluta

Oggetto rif.:  
Titolo: Un'esperienza assoluta
Magazine: GUD
Numero: 82
Anno: 2006
Allegato (pdf/doc): Lulworth (1)-20120903-224914.pdf
Ulteriori Info: Link  »» 

Stefano Faggioni, architetto e yacht designer, esprime sulla carta e a parole una passione ed un amore non comune per il mare, la nautica e la cultura navale. Figlio d'arte eredita dal padre una sensibilit? a 360? nei confronti di "tutto ci? che galleggia".

Lo Studio Faggioni, con Ugo prima e Stefano ora, testimonia una rara capacit? progettuale a tutto tondo che spazia senza difficolt? dal gozzo ai traghetti veloci, attraverso innumerevoli restauri.

Stefano, in particolare, vive il suo battesimo di professionista nel 1997 con il restyling interno dei Bertram 54', 60' e 73', ottenendo molti consensi al Miami Boat Show del 1998.Oggi il nome di Stefano Faggioni e dello studio confermano la fiducia di armatori e cantieri con una serie di interventi quali i restauri, parziali e non, di Iduna, Black Swan, Candida,Magda XIII, Pianosa ed il restauro integrale appena concluso di Lulworth, e rinnovano l'impegno nella progettazione ex-novo con il Naumachos 82, un explorer vessel targato Cantieri Navali di Pesaro.

Lulworth,maestosa ed elegante con i suoi 46,50 metri di lunghezza f.t. ? il pi? grande cutter aurico del mondo. Ultima superstite della mitica Big Class (Shamrock,White Heather II, Britannia,Westward) ? stata rinvenuta, 15 anni or sono, adagiata nel fango ed adibita a casa galleggiante.

Frutto della penna e delle abilit? costruttive dei Cantieri White Brothers di Southampton, venne costruita e varata a tempo di record nel 1920. Mr. Lee, il suo primo armatore, era deciso a fornire una valida antagonista allo yacht reale Britannia. Il suo secondo proprietario, Herbert Weld, con alcune modifiche apportate dall'architetto navale Charles Nicholson (alberature, sartiame e zavorra di chiglia), riusc? ad avverare questo sogno.

Lulworth vanta un pedigree eccezionale: nella sua stagione agonistica di inizio secolo, al largo della costa inglese, colleziona ben 114 premi, trasformandosi in un riferimento storico-tecnologico unico ed inimitabile.Oggi ? nuovamente famosa per quello che ? stato definito il restauro del secolo: iniziato nel 2001 si ? concluso col varo il febbraio scorso. L'impegno progettuale di Stefano Faggioni e del suo studio, la dedizione delle maestranze di cantiere convocate da almeno sedici nazioni diverse e la volont? di un armatore ? che ha saputo credere e sostenere un'impresa faraonica ? hanno permesso di riportare in mare, pronta per nuove sfide e competizioni, "l'ultima vera gemma".
 

Carola: Quando si parla di restauro l'immaginario comune non pu? fare a meno di pensare alla ricchissima trattatistica e all'intenso dibattito che il mondo dell'architettura pu? vantare sulla conservazione del patrimonio storico, per non parlare della rigida e dettagliata normativa che gli operatori del settore applicano nei loro interventi. Se alla voce restauro, invece, affianchiamo parole come nave o barca, scopriamo come questo fenomeno di nicchia non possa vantare altrettante regole scritte rischiando spesso di confondersi con ordinarie manutenzioni e solo recentemente si affacci alle scene di un possibile dibattito.

L'esperienza diretta e la tradizione paterna ti hanno sicuramente portato ad individuare un modus operandi sulle imbarcazioni d'epoca e a dare una definizione personale dell'abbinamento restauro e nautica: vuoi esprimerci la tua opinione? Quale percorso si nasconde dietro l'ideazione e la definizione di un restauro nautico? Intervenire su una barca d'epoca implica da una lato la volont? di salvaguardia e conservazione del suo fascino e del suo valore storico, dall'altro l'esigenza tecnica di funzionalit? e di funzionamento, senza tralasciare la volont? dell'armatore. Come convivono questi aspetti nella spirale di progetto? Quali i vincoli e le libert? di azione?
 

Stefano: Impossibile stabilire una regola perch? la barca come l'essere umano cambia assolutamente da barca, a tipo, ad armo velico..., dai suoi interni, dalla sua provenienza, dall'anno in cui ? stata costruita, dalle evoluzioni della progettazione dell'epoca e dal cambio di armatore; di conseguenza anche dal cambio di comando e dall'utilizzo che di questa barca ? stato fatto. Elemento fondamentale ? l'ottimizzazione dell'armo velico perch? non ? detto che quello originale abbia determinato l'andamento migliore per la barca. Allora,molto spesso, i comandi che si avvicendano cercano di ottimizzare, con la pratica, il progetto (abbassare leggermente l'albero, alzare la bugna, cambiare il punto di scotta...).Queste piccole ottimizzazioni portano al cristallo della barca, cio? a quella che ? la barca ottimizzata, ovvero il punto di riferimento per il refitting ed il Restauro.

Impossibile fare un parallelo immediato con il restauro architettonico perch? ? un tema dal dibattito storico ed attuale ampissimo che dura da pi? di cent'anni.Ad esempio il concetto di "patina del tempo come valore aggiunto" ? bellissimo,ma impraticabile sulle barche perch? una barca deve principalmente funzionare. Il restauro deve consentire alla barca di tornare a navigare, se la barca non naviga non ha senso.

Nel restauro di barche d'epoca la somma di molteplici fattori quali la volont? dell'armatore, l'inevitabile tecnologia nuova a bordo e il costruttore ? spesso non ? pi? abituato a un tipo di realizzazione tradizionale ? deve generare un prodotto accettabile.

Accettabile nel senso che la persona, quando sale sulla barca, deve avere la sensazione di compiere un salto temporale, di varcare la soglia di un'epoca lontana da noi.Credo che per avere questa sensazione l'architetto nel suo intervento debba in qualche modo annullarsi. Si tratta di uno studio di ricerca, a monte indirizzato al recupero dell'esistente, per quanto ? possibile (disegni, fotografie, documenti, testimonianze), e in fase esecutiva mirato a cercare di personalizzare il meno possibile, nel tentativo di riportare lo spirito originale a bordo.

Nessuna invenzione particolare, ma tutto questo studio, compresi per esempio i pannelli delle paratie ? dove non pi? esistenti ? ? un lavoro piuttosto lungo: si tratta di un progetto vero e proprio non di un "ripetere". Trovare un disegno originale non basta a rimetterlo in opera, non basta a intervenire su tutta una barca,ma ? un punto di partenza per avviare un nuovo progetto frutto di una lunga ricerca e di un meditato studio.Anche perch? piani generali come quelli degli anni '20 non danno tante informazioni come si vorrebbe.

Il costruttore rappresenta un anello fondamentale della catena, egli deve fare adesso, con le macchine, quello che una volta si faceva con le mani anche se la macchina non sempre arriva al tipo di finitura che vorremmo. Frese e pantografi, per esempio, non fanno il giro a 90?; per fare ci? devi avere una certa manualit? che, come una volta, completa il pezzo.Molti elementi curvi oggi si fanno con il lamellare,mentre una volta le maestranze sapevano lavorare il massello. Nel caso di Lulworth sono stati lavorati anche dei masselli curvi.

La scelta del legno giusto ? molto importante, trovare il legno adatto per fare un certo tipo di costruzione o lavorazione ? fondamentale e, spesso,ma non sempre, il legno pi? adatto coincide con quello di una volta. Ad esempio per pezzi curvati come i canestrelli ? d'obbligo usare il frassino perch? lo pieghi facilmente (come le Thonet viennesi); anche per i piccoli pezzi come le cornici, che poi vanno laccate, ho fatto usare il frassino perch? lo fai bollire un po' e lo sagomi senza difficolt?; in questo modo riattivi e riaccendi tutta una serie di maestranze che sono in grado di riprendere un lavoro come 100 anni fa. Difficili da trovare se non in persone di buona volont? che, spesso, costituiscono il jolly di un puzzle da comporre e orchestrare. Individui da allevare, che hanno voglia di fare e che entrano in sintonia con te.

Uomini a cui fai uno schizzo e te lo realizzano per il gusto di farlo. Per l'artigiano questa sfida ? sicuramente pi? appagante che fare un interno impiallacciato, fa s? che si metta in moto e si organizzi per ottenere il miglior prodotto possibile.
 
Se dovessi esprimerti in termini di densit? e rarefazione, unicit? e molteplicit? nel refitting/restauro di imbarcazioni d'epoca a cosa faresti riferimento?
 

Vorrei dare un'interpretazione che si avvicina alle architetture di Michelangelo anche se lungi da me un confronto! Ogni sua "fabbrica" ? un'opera scultorea perch? Michelangelo ? scultore sempre, anche quando ? pittore, architetto e poeta. La barca ? lo stesso: appare subito nel suo insieme ? dalla testa d'albero alla chiglia ? ? un tutt'uno che parla solamente il medesimo linguaggio, quello della barca stessa. Linguaggio che ovviamente pu?, poi, essere paragonato a quello di molte altre, non fosse che per analogia di epoca, provenienza e progettista.

? davvero tutto molto "denso". ? chiaro che quello che vedi all'esterno si differenzia per forza di cose dagli interni: l'esterno ? pura propulsione ? parlo sempre di yacht a vela ? mentre per gli interni aiutano molto gli studi di architettura che consentono di richiamare lo stile pi? congeniale a bordo della barca.

Stimoli che,molto spesso, contribuiscono a risolvere alcuni particolari quali le maniglie, piuttosto che le cerniere, le lampade o i piatti...

Scendendo nel dettaglio si pu? considerare "tutto molto denso". Per esempio nel progetto dell'alberatura vai fino al particolare della costruzione dei collari, in altri casi arrivi a discutere della filettatura delle viti piuttosto che del dimensionamento dell'acciaio e del bronzo.

L'esecutivo ? sempre molto dettagliato, come nel caso di un pezzo meccanico. L'esecutivo degli interni, invece, per quanto riguarda la parte in legno, pu? e deve lasciare un margine di inventiva all'artigiano che li realizza; perch?, quest'ultimo, sentendosi meno vincolato, ? pi? facile che dia vita a un prodotto finale migliore. Egli deve sentire un po' suo il pezzo affinch? il risultato sia ottimale, mentre nessun tipo di inventiva va lasciata all'officina meccanica. La densit? in questo senso sta nel vedere la barca finita, tutto va e si muove insieme, ogni singolo elemento va visto nell'insieme del tutto.
 
Lulworth, mi sembra, l'esperienza pi? densa e significativa nella recente storia del restauro di vele d'epoca: vuoi raccontarci brevemente, anche se mi rendo conto che ? impossibile, la tua esperienza al seguito di questa meraviglia del mare?
 

? un brevemente di 5 anni... ? stato un lavoro a 360?. Noi non ci siamo occupati della parte velica, perch? la barca ? stata comprata con l'albero gi? fatto, anche se ci sarebbe piaciuto molto, per? per quanto riguarda gli interni si ? trattato di cinque anni veramente intensi. ? stato un lavoro, innanzitutto, di archiviazione dell'esistente. Qui, al contrario di tante barche che oggi arrivano ai lavori, avevamo da catalogare diverse parti degli interni esistenti (il salone compresi candelieri basculanti e tavolo, le paratie del corridoio...): oggetti che erano tutti dispersi.

Raggrupparli, catalogarli e poi collocarli fisicamente nello spazio ? stato sicuramente il lavoro pi? lungo e si ? protratto fino alla fine. [La barca agli esordi del suo progetto di restauro era ridotta pressoch? alla semplice ossatura di carena,mentre gli elementi interni, ancora esistenti, erano smontati e conservati in scatoloni. n.d.r.].

Ricollocare nel disegno le paratie esistenti ? stata un'operazione ancora pi? complicata. Fare un piano generale da zero ? un lavoro particolare,ma, tutto sommato facile, se lo confronti con la necessit? di fare un piano generale con un vincolo esistente. Da un lato avevo delle paratie originali da dover collocare ? conscio della necessit? di posizionarle esattamente nel punto corretto ? e dall'altro uno scafo ridotto a scheletro; successivamente, fatto il "primo passo" e finalmente trovata la loro destinazione, dovevo girare nel disegno tutto attorno all'esistente: ? stato un procedimento mentale e progettuale davvero complicato.Anche perch? quando un disegno, elaborato per giunta a mano, per tre o quattro mesi non si sposta dal tuo tavolo comincia a pesare... inizi ad aver voglia di non vederlo pi? e ti costringi a dedicartici notte tempo per raggiungere finalmente l'esito sperato. Esistevano, inoltre,molti disegni della barca,ma tutti diversi fra loro; sorgeva quindi il problema di quale scegliere come modello, di quale considerare originale e la necessit? di valutare quale fosse pi? consono all'armatore.

Da questi presupposti sono scaturite una serie di proposte preliminari per gli interni mirate a rispettare sia la volont? dell'armatore che lo spirito del restauro conservativo. Adiacente alla cabina dell'armatore, per esempio, in luogo di un precedente bagno ? non pi? adattabile e realizzabile ? ? stato progettato, dopo alterne vicende, un punto lettura aperto, coerente agli anni di costruzione della barca e in grado di dare pi? respiro alla cabina medesima, mentre la toilette dell'armatore ? stata eseguita con un intervento filologico adeguato alle esigenze contemporanee. La zona tecnica a prua del salone [cucina e zona equipaggio. n.d.r.], invece, ? tutta nuova. Quando sei l?, in medias res, cominci a scendere di scala, il disegno ti si ingrandisce fino a diventare 1 a 1. Un impegno ricchissimo e particolare, anche grazie all'armatore che pur sapendo di spendere molto di pi? ti lascia carta bianca su tutto.

Allora capita che tu chiedi "facciamo le lampade nuove?" e lui ti dice "facciamo le lampade nuove, bella idea!": un paio di proposte ed esce fuori la lampada! E cos? per molti altri esempi. A un certo punto non lo chiedevo neanche pi?. Ho preso in mano la situazione e quando non esisteva nulla di commerciale che facesse al caso nostro preferivo disegnarmi i dettagli ad hoc. Ne facevo un modello tridimensionale e poi procedevo a fondere il pezzo in cera persa, come per la maniglia del frigo e molti altri.

Tutti questi piccoli dettagli unitamente al progetto generale hanno costituito un'orchestra meravigliosa, un concerto di ideazione, fusione, cera persa, modellista e modello.Modello in legno che senti e sperimenti toccando con mano, simulando il movimento di aprire e chiudere una maniglia, limandolo e modificandolo fino ad ottenere il risultato voluto.

Qui in studio abbiamo sempre curato i dettagli,ma non fino a questo punto... ? stata una bellissima esperienza, ti viene voglia di fare qualsiasi cosa. Mi sono fermato, a un certo punto, solo per evitare di diventare troppo maniacale.

Una volta finita la barca mi ha fatto veramente impressione vederla in acqua...mi sono reso conto ? dopo cinque anni di lavoro in cantiere ? come fosse molto pi? piccola di quanto potessi immaginare.Vederla come l'hai vista tu, in mare, ? un'altra percezione, non sai che sotto il galleggiamento ci sono altri cinque metri...

Vederla e viverla in secco ? un'altra cosa: ? come una chiesa o come il Pantheon che incombe su di te con la sua cupola e in qualche modo ti schiaccia con la sua presenza...Lulworth nel suo habitat naturale ? molto pi? innocua di come ci si possa immaginare,ma nei cinque anni precedenti ne ho subito e vissuto l'imponenza.
 
Ci sono altre esperienze che paragoneresti al Lulworth?
 

Un'altra esperienza interessante ? stata il restauro del Pianosa. Almeno interessante quanto Lulworth anche se parliamo di un gozzo sorrentino di 12,50 metri. In questo caso,mi ha sorpreso il coraggio dell'armatore che voleva restaurare un oggetto in cattivissime condizioni, paragonabili a Lulworth. Per? nel caso di Lulworth, alla fine, hai un mega yacht da oltre 40 metri, mentre nel caso di Pianosa, ti devi "accontentare" di un gozzo, quindi l'operazione ? sicuramente pi? culturale.Qui il progetto di restauro ? stato condotto in maniera completamente diversa: mi sono sforzato di essere spontaneo.

Una spontaneit? ricercata ? oserei dire ? anche se appare come un'antitesi. Queste barche nascevano a Sorrento, come a Napoli, e venivano impiegate con apparati propulsivi di recupero, quali motori di jeep americane abbandonate dopo la guerra. Pianosa, infatti, era equipaggiato con un motore di carro armato... cosa che ovviamente non si ? potuto ripetere. Tutto ci? per dire che il recupero, inteso come riutilizzo, ? una sensazione che mi piaceva riproporre in questo gozzo anche a restauro finito; mi stimolava l'idea di salire a bordo e trovare un bozzello diverso dall'altro e il pensiero di andare alla ricerca dei singoli pezzi. In questo caso il restauro, oltre ad essere un vero e proprio progetto completo, ? stato anche un lavoro da antiquario.Oltre il gusto per le cose diverse fra loro ho cercato di assorbire completamente il know how locale nel tentativo di avere un prodotto il pi? possibile fedele all'originale. In questa senso le maestranze locali si sono rivelate fondamentali perch? lavorano "oggi come allora" e considerano pura routine ci? che per noi ? restauro.
 
Lulworth racconta come conservazione e design possano coesistere e convivere nella progettazione di un restauro tout court. Qual'? il rapporto che lega due fenomeni apparentemente antitetici e dove a tuo avviso maggiormente si esplica?
 

A differenza della nautica ex-novo gli oggetti devono prendere ispirazione da un particolare che nessuno vedr?,ma che c'? ed esiste: ? il DNA della barca. Una volta dedotto questo oggetto si ? colto lo spirito. Nel mio caso il filo conduttore ? stato una sorta di fiore che ho estrapolato come ispirazione per la base delle appliques e che, successivamente, ho impiegato quale matrice per l'ideazione di altri dettagli. Tutto ci? ti d? carta bianca sul tipo di concept e di oggetto che vai a realizzare,ma sempre con la memoria di quello che ?, non la barca come oggetto, ma la barca come DNA, ovvero, il mio famoso pezzettino che pu? essere in questo caso la sezione del braccetto o la base floreale dell'applique.

Devo dire la verit?: mi sono sentito molto libero, e una volta individuato un leit motif per quella precisa barca,mi sono sentito, forse, ancora pi? libero di riproporre anche altri oggetti quali il capochiave, piuttosto che la maniglia del frigorifero. Lavorando in questo modo avverti che c'? qualcosa nel frigorifero che appartiene alla barca, anche se prima non esisteva (in realt? non sapevo, neanche, se all'origine era prevista una ghiacciaia).Quando vedi e impugni questa semplice maniglia, pensi spontaneamente "non ? un oggetto nuovo di design ? un oggetto che appartiene alla barca" in quanto parte del tutto. Lo spirito con cui ho lavorato va inteso in questo senso, ovvero che il lavoro nuovo di design fattosu questa barca ? originale. Originale, direi, del 1920 perch? ho tirato via una "costola dalla barca stessa per creare il nuovo".

? sicuramente questa la differenza fra il design ex-novo e quello che ? il piccolo margine del design, in realt? abbastanza ampio, nel refitting.
 
? un po' come essere designer nel 1920!
 
Un po' ? questo ed ? il suo bello. Pensare al pezzo, disegnarlo a mano in proiezione e nello spazio, con le ombre, gustarselo. E poi andare dal modellista, prendersi il modello per passare la cartavetro, limarlo modificarlo?anche solo di pochi millimetri.Si comincia ad avere una percezione diversa: non pi? una visione bidimensionale o tridimensionale su carta, quanto una sensazione fisica. ? entusiasmante sentirlo nelle mani come i vecchi modelli di carena dei maestri d'ascia.
 
Oggetti piccoli come maniglie, serrature, appliques in un intervento impegnativo come il restauro integrale di Lulworth potrebbero sembrare aspetti marginali o secondari. In realt? il percorso necessario alla loro definizione dal concept design alla realizzazione e messa in opera mi sembra uno stimolo alla riflessione sulla complessit? dell'operare in questo settore. Vuoi descriverci un caso studio?
 

La presenza costante del pensiero di questa barca ? stato paragonabile a quello che puoi avere nei confronti di una persona, anche se ovviamente ? progettualmente parlando ? non ho fatto solo questo nei cinque anni che hanno caratterizzato le diverse fasi di intervento su Lulworth. Mi sono trovato molto spesso, per esempio, in treno a dire a me stesso "guarda questa cosa potrebbe essere interessante",

annotarla e schizzarla su un taccuino. La costante presenza e il pensiero di questo figlio che hai da qualche parte ti porta a schizzare molti dei piccoli oggetti ovunque ti trovi, come appunti di viaggio da rielaborare, successivamente, nella quiete del lavoro di studio.Al tavolo da disegno, poi, li metti definitivamente a fuoco sulla carta... cancellare, cancellare e ridisegnare... e alla fine ne domini le proporzioni. Le curve da una versione all'altra,magari, si modificano di un'inezia,ma cambiano perch? l'occhio ? molto sensibile e ingannare l'occhio ? difficile.

Questo schizzo diventa poi progetto definitivo, poi modello di legno, quindi di cera, quindi fusione... lucidatura e, solo all'ultimo, pezzo finito posato in coperta. Faccio l'esempio dei tappi per i pulsanti dei winches.
 
Detto cos? l'oggetto in se stesso sembra banale e microscopico rispetto all'insieme, mentre in realt? al concept design di dettaglio si affianca anche il problema dell'esigenza tecnologica che non dialoga facilmente con l'et? anagrafica di Lulworth...
 

? un oggetto fastidioso perch? gi? si parla di winches elettrici su una barca d'epoca del 1920, quando i winches come li si intende oggi neanche esistevano, ma dei quali non si poteva proprio pensare di fare a meno per poter rendere manovrabile la barca. Il problema, quindi, ? stato come renderli pi? accettabili. Innanzi tutto i tappi sono stati pensati in bronzo normale e non in lega bronzo-alluminio con cui, invece, sono stati fatti winches e golfari di coperta. Perch? il primo si ossida e cos? facendo si mimetizza col cinerino del tek di coperta,mentre la lega ? resistente come l'acciaio,ma non invecchia e non si ossida rimanendo sempre un po' troppo evidente in coperta. Risolto il problema del materiale sono passato quindi a determinarne la consistenza ed all'aspetto...

Cos? ho fatto anche per molti altri oggetti, come la chiave: succede che inizi a pensare e ad osservare... vedi la porta, poi la maniglia... e ti accorgi che manca la chiave e la inizi a ideare.Allora tiri fuori il d.n.a. della barca, il leit motif e da quello progetti la chiave e dalla chiave, poi, tiri fuori il porta chiavi, e poi...

Maria Carola Morozzo Della Rocca


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